3 maggio 1972: primo album del Banco del Mutuo Soccorso


Sul numero 40 di PROG ITALIA (gennaio 2022) parlavano del SALVADANAIO, titolo con cui gli appassionati preferiscono chiamare l’omonimo album di debutto Banco del Mutuo Soccorso, attraverso la suite che ha consegnato la band alla storia della “nostra” musica. Riproponiamo, in occasione del suo 51° compleanno, quelle righe…

Il giardino del mago (1972)

Testo: Guido Bellachioma

Guardando l’iconica copertina ti viene da pensare: quante storie possono entrare in un salvadanaio. Già, il SALVADANAIO… ma c’è qualcuno che ha mai chiamato l’album di esordio del BMS con il titolo esatto, il normale BANCO DEL MUTUO SOCCORSO. Normale per il vezzo delle band d’intitolare con il proprio nome il primo disco pubblicato. Vuoi mettere il senso di pienezza nel pronunciare una sola parola ma dal profondo impatto evocativo… S-A-L-V-A-D-A-N-A-I-O!

Tutte le leggende hanno un inizio

Il gruppo è partito dai confini della musica conosciuta, quando il rock progressivo e mille altre espressioni sonore nascevano, per arrivare alla realtà odierna. Il “vero” BMS nasce a maggio 1971 alla fine del secondo festival pop di Caracalla (Roma). Man mano il gruppo acquisisce il chitarrista Marcello Todaro (Fiori di Campo), il cantante Francesco Di Giacomo, il bassista Renato D’Angelo e il batterista Pierluigi Calderoni (gli ultimi tre provenienti dall’appena disciolto gruppo romano delle Esperienze). I musicisti, dopo qualche avventuroso mese di prove, concerti e costruzione del repertorio, nell’autunno 1971 entrano in studio di registrazione a Milano. In poco tempo assemblano le composizioni dello straordinario album iniziale, che arriva nei negozi il 3 maggio 1972. Il Banco irrompe nella scena come un fiume in piena, inarrestabile con quella miscela di rock forbito ma selvaggio (Il giardino del mago, quasi 18’30” caleidoscopici e cangianti), dove la perizia tecnica (Metamorfosi) si miscela all’antimilitarismo senza compromessi (R.I.P., probabilmente la summa dell’epica del rock progressivo italiano). Nella suite spicca la voce lirica e potente, mentre la sezione ritmica spinge quando e quanto serve illuminando i territori in chiaroscuro, dove D’Angelo con il basso ricorda di essere stato chitarrista e s’impegna anche melodicamente, la chitarra ha un compito difficile, visto l’impianto a trazione tastieristico-pianistica del BMS, ma c’è quando è giusto, sia tratteggiando con l’acustica che spingendo con l’elettrica. Ci viene in mente un paragone, azzardato ma realistico, anche se l’Inghilterra degli anni 60 è decisamente più avanti dell’Italia del 1972: la RCA, liberando il BMS per mandarlo alla Ricordi, commette un errore simile a quello della Decca nel gennaio 1962, quando non scrittura i Beatles dopo un’audizione. Pochi mesi più tardi passano alla EMI!

Senza rompere il SALVADANAIO

La copertina è sagomata come un salvadanaio di terracotta (le copie originali sono arrivate a valutazioni collezionistiche piuttosto consistenti), ma non bisogna rompere il salvadanaio per entrare in contatto col tesoro musicale contenuto perché il suo profumo esce fuori dalla fessura dove i bambini infilavano i propri risparmi: puro rock progressivo di stampo sinfonico-mediterraneo, capace di sfuggire la mielosità che affligge troppi gruppi di questo periodo e contiene classici assoluti. Le musiche, firmate da Vittorio ma sicuramente cresciute con l’apporto di Gianni, di cui si riconosce la cifra stilistica che lo porterà a diventare pianista apprezzato internazionalmente, sono accompagnate da testi ricchi e intensi, opera di Francesco e di Vittorio.

Otto piste per un capolavoro

Sin dal primo ascolto dell’album, in particolare di questa suite, mi ha colpito la magnifica attitudine creativa di una band formata da sei artisti in progress, il più giovane è Gianni Nocenzi (19 anni e 4 mesi al momento della pubblicazione), il più vecchio Marcello Todaro (26), non a caso chiamato “nonno”, soprannome datogli da Francesco. E per dare sfogo alla musica che avevano dentro potevano registrare con un banco di solo otto canali! Il BMS quelle otto piste le moltiplicava all’infinito con l’ingegno, perché possedeva il fuoco sacro della propria musica in costruzione. Una musica diversa da quanto girava intorno: sinfonica, colta, popolare, rock, mediterranea, capace di sparigliare le carte, di rendersi meticcia senza aspirazioni di purezza, mettendo insieme il meglio del resto e ampliando la conoscenza verso nuove frontiere, artistiche e culturali… insomma, la musica del Banco!

Più volte ho parlato con Vittorio delle limitazioni tecniche dello studio di registrazione milanese della Ricordi, che, specialmente per Il giardino del mago, li costringeva a cercare di superare montagne di difficoltà… ogni volta dovevano scalare l’Everest: “Quando abbiamo registrato questa suite dopo pochi minuti avevamo già trenta suoni. Come fai a metterli in otto piste? Ogni traccia è legata a un registratore che ha la sua regolazione di volume, equalizzazione, posizione stereo, eco ecc. Ma se sullo stesso canale ho il clarinetto e dieci secondi dopo la cassa della batteria ho bisogno di equalizzazioni diverse. Allora si faceva tutto a mano; nel momento in cui si passava da una fase all’altra c’era una persona che cambiava volume e tutto il resto. Contemporaneamente alcuni di noi elaboravano manovre simili su altre piste. I missaggi erano delle vere e proprie battaglie fra te e il limite della tecnologia, tra te e ciò che la necessità creativa aveva in mente di realizzare, ma non sempre era possibile. Poi c’erano i tagli da effettuare con forbici “speciali” sul nastro, alto due cm. Quando ascoltavi il risultato aspettavi con trepidazione il responso, particolarmente nei punti in cui avevi tagliato qualcosa. Poteva succedere che il volume dell’attimo prima con quello dopo non si sposasse bene, perché magari c’era rimasta un’eco oppure uno dei movimenti non era stato fatto velocemente a tempo. In quel modo cambiava tutto il suono e non era accettabile, solo allora capivi che era necessario ricominciare da capo! Le forbici erano importanti per evitare che al momento del taglio ci fosse una scarica elettromagnetica, il temuto “tock” in ascolto! Il risultato del SALVADANAIO, artistico e audio, ha del miracoloso, pensando ai mezzi tecnici usati e al fatto che eravamo dei ragazzini senza esperienza di registrazione; comunque ha un impatto emotivo forte, che il tempo non ha appannato”.

Esprimi un desiderio…

Vorrei una macchina del tempo per riportare al 1972 quel BMS con uno studio di registrazione attuale. Non per riregistrare l’album come lo farebbero oggi artisti della nostra età (anche io, che sono del 1955, appartengo culturalmente alla loro generazione) ma per lasciare liberi quei sei ragazzi di esprimere tutto ciò che era venuto loro in testa ma non avevano la tecnologia per realizzarlo… compresa una benedetta ingenuità senza freni, abbinata a un rigore istintivo. Con l’ultima nota del SALVADANAIO si conclude l’età dell’innocenza del Banco e inizia quella della consapevolezza, con album più strutturati come DARWIN! e IO SONO NATO LIBERO… questo possiede ancora la magia del primo bacio!

Quel magico 1972

Il Banco subito dopo l’uscita del 33 giri inizia una forte attività concertistica, che lo porta in giro per l’Italia, consolidando la propria credibilità, già notevole. Il percorso vede la formazione fortemente coesa, capace di portare sul palco le composizioni che ormai sono patrimonio comune dei giovani consumatori di rock. Allora nessuno degli ascoltatori pensava a definire questa musica in qualche modo, voleva solo ascoltare ed emozionarsi per suoni diversi da quelli consumati dalle generazioni precedenti. Le riviste, le stesse che recensiscono positivamente l’album, non mancano di entusiasmarsi ai live di questi sei musicisti, che sul palco s’impegnano al massimo, cercando di rendere popolare un genere musicale di derivazione anglofona ma con una forte valenza italica, frutto anche della buona preparazione d’ispirazione classica dei fratelli Nocenzi. La voce tenorile di “Big” non ha eguali in circolazione e fornisce una marcia in più; non a caso l’aspetto vocale sarà in molti casi penalizzante per le formazioni italiane, d’altronde la metrica della nostra lingua non si adatta perfettamente al rock, come ancora oggi ci rendiamo conto ascoltando molte proposte.

Nel 1972 il BMS per promuovere il primo album suona in due raduni, entrati nella leggenda del rock italiano degli anni 70, sempre a Roma: il 26 maggio al primo Villa Pamphili Pop Festival, erede diretto di Caracalla Pop 1970 e 1971, e il 4 giugno al secondo Festival di Musica d’Avanguardia e di Nuove Tendenze al Centrale del Tennis (Foro Italico). In entrambi i casi il BMS è tra i gruppi più apprezzati, compresi quelli stranieri, nel secondo vince pure il premio come migliore band a pari merito coi Circus 2000 della cantante Silvana Aliotta (che nel 1973 parteciperà a IO SONO NATO LIBERO).

Poker di movimenti

La suite è costituita da quattro movimenti (Passo dopo passo, Chi ride e chi geme, Coi capelli sciolti al vento, Compenetrazione) ma il flusso continuo di idee ed emozioni impedisce di concepire l’ascolto di una sezione senza le altre: esiste solo la suite al completo, possente, unita nella diversità delle parti. Il contrario dell’ascolto “skippizzato” o da streaming compulsivo che affligge la nostra società.

Sin dall’inizio si percepisce che siamo davanti a qualcosa di magico e inquietante… il dialogo tra l’Hammond in chiave percussiva e il basso, il pianoforte con sospensioni impressioniste, la chitarra elettrica, che in un tema, utilizzando l’archetto del violino, sembra un’armonica (appena prima che Francesco, accompagnato dal pianoforte, intoni “Com’è strano oggi il sole, non si fa scuro chissà perché”), il clarinetto Mib filtrato con il wah wah (suonato da Gianni, che lo aveva imbracciato da bambino nella banda, quando con le mani piccole non poteva suonare quello più grande in Sib), il vibrafono che aumenta l’inquietudine, i rumori battenti, simboleggianti i chiodi durante la crocifissione degli ideali dell’uomo, ottenuti da Pierluigi percuotendo il triangolo con una bacchetta di metallo…

E poi le liriche, metabolizzate e sputate da Francesco, anche nei momenti apparentemente sussurrati, come avesse una spada tra i denti, che vengono infilate in modo apparentemente impossibile nelle pieghe di una musica incredibilmente articolata (l’unico capace di fare altrettanto è Peter Hammill, ma Francesco deve fare i conti con una difficoltà maggiore per la diversa costruzione linguistica dell’italiano rispetto all’inglese). Il testo, piuttosto lontano dagli stereotipi simil Tolkien, non vive di maghi e folletti da fiabe, sia pure oscure, bensì racconta una storia sull’incomunicabilità, sull’alienazione, sulle difficoltà della vita… una storia che può causare la pazzia, la morte delle idee e dei sogni.

The end?

Vittorio Nocenzi: “Ricordo che alla fine dei missaggi de Il giardino del mago mi venne in mente un pensiero assolutamente infantile, dettato dall’innocenza dei vent’anni… adesso posso pure morire contento”.

Il testo

Il giardino del mago è il più lungo brano ideato dal BMS ma i 18’24” scorrono senza appesantire l’ascolto, anzi esaltano le reazioni auditive… e quando alla fine dei solchi arriva il silenzio sembra un’ingiustizia… ma come? È già terminato?!

Da bambino ci montavo su

al cavallo con la testa in giù

galoppavo senza far rumore

Gli zoccoli di legno che volavano sui fiori

non sciupavano i colori.

Stan cantando al mio funerale

chi mi piange forse non lo sa

che per anni ho cercato me

e passo dopo passo con le spine ormai nei piedi

tanto stanco stanco.

Io

sono arrivato nel giardino del mago

dove dietro ogni ramo crocifissi ci sono

gli ideali dell’uomo

Grandi idee invecchiate nel giardino del mago

io sto appeso ad un ramo dentro un quadro che balla

sotto un chiodo nell’aria

sono là che ho bisogno di carezze umane più di te.

E il tempo va il tempo va passa

e il tempo va il tempo va passa e va

E tu che fai e tu che fai e tu

e tu che fai e tu che fai che fai?

Sono finito ormai quaggiù

ma vieni via ma vieni via vieni via!

Non posso tornare resterò

se resterai se resterai che farai?

Ogni creatura del giardino del mago

vive tutto il suo tempo dentro in un albero cavo

C’è chi ride chi geme

chi cavalca farfalle

chi conosce il futuro

chi comanda alle stelle come un re

Ma chi è che comanda

comanda le stelle,

ma chi è questo re

è un re che comanda da sé…

Com’è strano oggi il sole

non si fa scuro chissà perché

forse la sera non verrà

a uccidermi ancora

ha avuto pietà solo ora

Per pietà della mia mente che se ne va

il giorno aspetterà

per me si fermerà un po’ di più

vedo già foglie di vetro

alberi e gnomi corrersi dietro

torte di fiori e intorno a me

leggeri cigni danzano

a che serve poi la realtà?

Coi capelli sciolti al vento

io dirigo il tempo

il mio tempo

là negli spazi dove Morte non ha domini

dove l’Amore varca i confini

e il servo balla con il re

corona senza vanità

eterna è la strada che va.