Testo e foto: Antonio De Sarno
Serata intima ed emozionante all’Arci Bellezza di Milano per la seconda tappa italiana del tour solista di Bruce Soord, frontman dei Pineapple Thief, gruppo molto popolare negli ultimi anni. Chi si aspettava un concerto acustico si trova spiazzato per la presenza del gruppo, che rappresenta in sostanza l’essenza dei Pineapple Thief prima dell’ingresso dirompente di Gavin Harrison alla batteria, il quale ha spostato il gruppo verso un tecnicismo lontano dai primi lavori. Oltre all’inossidabile Jon Sykes, già bassista storico dei Pineapple, abbiamo potuto conoscere la batterista Tash Buxton. La scaletta è tratta principalmente dai tre ottimi dischi solisti del nostro e, in apertura, abbiamo potuto apprezzare la one man band che va sotto il nome di Smalltape, all’anagrafe Philipp Nespital, vero talento da scoprire.
All’inizio del 2022 i Pineapple Thief hanno pubblicato “Give it Back – (Rewired), in cui, per così dire, avete riscritto il vostro passato…. i
Nel mezzo della pandemia abbiamo capito che potevamo lavorare anche a distanza e, avendo suonato alcuni pezzi del vecchio repertorio con Gavin, era chiaro che suonassero molto diversi. Abbiamo pensato di registrarle e Gavin ha scelto in autonomia la setlist. So che lui cerca dei brani con qualcosa di ritmicamente interessante come Little Man. Scelte molto interessanti…
Come sai se i brani che componi saranno dei Pineapple Thief o entreranno nei tuoi dischi solisti?
Ormai è semplice! Non finisco i brani dei Pineapple! Appena ho un’idea di strofa o un ritornello, qualche pezzo di testo, passo il materiale a Gavin e aspetto. Se a lui piace, il pezzo prosegue. Sul mio materiale, faccio tutto fino alla fine.
Il tuo ultimo album solista, “Luminescence” (2023) vede la presenza di Andrew Skeet (noto anche come componente dei Divine Comedy)…
Ai tempi di “All The Wars” (2012), pensai sarebbe stato bello avere degli archi veri… e c’erano i soldi per una volta! Quelli della K Scope mi consigliarono l’orchestra sinfonica di Praga, che mi passò il contatto di Andrew. Le sue parti sono così melodiche e ariose da essere proprio una scrittura a parte. Pensavo che Luminescence fosse finito, anzi, ne ero proprio convinto, però mio figlio mi convinse che mancava qualcosa, così ricontattai Andrew. Aveva pienamente ragione! Il disco con lui è rinato.
È vero che avevi realizzato abbastanza materiale per pubblicare un doppio album?
Sì, e non escludo che il rimanente materiale possa essere pubblicato in futuro.
Qual è l’argomento che permea Luminescence”?
La tristezza, ma la vita e così. Parla di come la vita ci cambia negli anni. Quello è il tema centrale. Vivo una situazione un po’ strana, perchè ho due figli adolescenti, ma anche una bambina di quattro anni, per cui è come vivere due momenti diversi contemporaneamente! Tale situazione fornisce una prospettiva fresca; fondamentalmente, il disco cerca di trovare il lato positivo nel presente e non cambia molto rispetto ai precedenti, se non la mia prospettiva. Questo è sicuramente più “a tema” rispetto agli altri…
Negli ultimi tempi hai lavorato con tanti artisti, anche storici, da Ian Anderson ai nuovi Big Big Train. Se tu dovessi definire il progressive rock…
Beh, negli anni settanta aveva un senso anche come movimento. Oggi è solo il non volersi limitare a canzoni di tre minuti, pur se quelle possono tranquillamente starci, come nel mio caso. In verità posso comporre anche pezzi da 10 minuti, come White Mist e altro. C’è questa libertà basilare che in altri generi non esiste. Ovviamente esistono gruppi che fondamentalmente vogliono omaggiare gli artisti del passato, però ci sono anche artisti che preferiscono esplorare nuovi percorsi… i nomi potete farli voi!